footodi mario dondero

Ravenna. Venerdì 13 marzo 1987, ore 09.05: la nave gasiera Elisabetta Montanari, è ferma per normali attività manutentive  presso il cantiere Mecnavi di Ravenna. All’ interno della stiva numero 2, lavorano 18 lavoratori dipendenti di 6 aziende diverse.
Alcuni operai stavano ripulendo le stive della Elisabetta Montanari, nave adibita al trasporto di gpl, e altri colleghi contemporaneamente tagliavano e saldavano lamiere con la fiamma ossidrica, una scintilla provocò un incendio. Le fiamme si propagarono con una rapidità inarrestabile, e tredici uomini ,13 picchettini, addetti alla pulizia delle stive, morirono asfissiati a causa delle esalazioni di acido cianidrico. Otto di loro erano irregolari, tre non ancora ventenni, uno al primo giorno di lavoro.

I nomi dei 13 operai morti il 13 marzo 1987
Filippo Argnani, Marcello Cacciatori, Alessandro Centioni, Gianni Cortini, Massimo Foschi, Marco Gaudenzi, Domenico Lapolla, Mohamed Mosad, Vincenzo Padua, Onofrio Piegari, Massimo Romeo, Antonio Sansovini, Paolo Seconi.

Presto si scoprì che quel giorno nel cantiere mancava completamente un piano di emergenza. Lo racconta con dovizia di particolari Rudy Ghedini nel suo libro ” Nel buio di una nave”, edito da Bradipo Libri nel 2007: “L’organizzazione del lavoro si rivelò palesemente approssimativa. Era noto che nella pulizia dei doppifondi poteva spargersi materiale infiammabile, ma sulla Elisabetta Montanari queste operazioni venivano compiute mentre altri lavoratori stavano usando la fiamma ossidrica. Non risultavano installate l’illuminazione e la segnaletica di sicurezza. Mancava un piano d’emergenza. Secondo i periti del Tribunale, l’areazione dei doppifondi era totalmente inadeguata per l’insufficienza tecnica dell’impianto di ventilazione. (…) Il numero dei lavoratori era eccessivo rispetto alla capacità di deflusso della via di fuga, per alcuni di loro quei luoghi bui e pieni di fumo erano sconosciuti, trattandosi del primo giorno di lavoro. La maggior parte delle vittime non ce la farà ad abbandonare il piano di stiva, tre non riusciranno nemmeno a uscire dal doppiofondo.” . La perizia depositata nel dicembre del 1988 (otto tecnici nominati dal Magistrato) afferma: ”…lo scenario in cui si operava rendeva l’evento catastrofico non dipendente dalla casualità ma piuttosto appartenente all’insieme delle quasi certezze” e ancora: “…al di là dei tempi e delle modalità con cui si è svolta la lunga agonia delle vittime un fatto rimane assolutamente certo ed inequivocabile: per nessuno degli operai rimasti intrappolati nella stiva dopo lo sviluppo dell’incendio vi era alcuna possibilità di fuga perché non erano state previste vie alternative d’uscita.” In quel triste giorno, la preoccupazione dei responsabili, secondo un avvocato di parte civile, “non fu quella di collaborare con i vigili del fuoco, ma correre a casa dei dipendenti per recuperare i loro libretti di lavoro e tentare di metterli in regola”.

Si scoprì che l’organizzazione del lavoro della società Mecnavi dei fratelli Arienti era basata su un sistema selvaggio di subappalti, lavoro nero e caporalato, sfruttamento e disprezzo delle regole. I processi nei tre gradi di giudizio si chiusero con una beffa. Pene gradualmente ridotte, nemmeno un giorno di galera per i responsabili, in particolare per Enzo Arienti, che continuò poi indisturbato la sua attività nei cantieri navali di Termoli, indagato nel frattempo per una presunta truffa alla Comunità europea. La vicenda viene ricostruita con precisione da  Angelo Ferracuti, giornalista e scrittore, in “Il costo della vita. Storia di una tragedia operaia” Einaudi 2013  .Ferracuti nella sua inchiesta narrativa rende omaggio alle vittime,ai 13 picchettini, raccontandone le storie individuali, sottraendole  all’oblio. Facendo questo, però, Il costo della vita non ricostruisce solo tredici vicende individuali, ma porta alla luce le fondamenta di quello che poi sarebbe diventato il «modello della precarietà necessaria», triste e annichilente stigma della nostra contemporaneità. Per Ferracuti  la tragedia della Mecnavi “ è il prototipo di una triste storia italiana che si ripete. Con un valore aggiunto negativo: accadde e continua ad accadere a Ravenna, nel cuore che immaginavamo civile dell’Italia, dove per esempio il caporalato e il lavoro nero sono forti come in certe zone depresse del meridione. È il segno del declino della civiltà del lavoro nel nostro paese, prima ancora del lavoro come capacità occupazionale; e il nuovo volto che il capitalismo si è dato, cioè affermare il dominio per mezzo dello stato di crisi”.

fotodi fabrizio zani

Ferracuti ricorda anche le durissime parole dell’omelia funebre pronunciata dal cardinale Ersilio Tonini nel duomo di Ravenna: “Un ragazzo di 17-18 anni che è costretto a passare 10 ore in cunicoli dove, posso dirla la parola? Non vorrei scandalizzare, dove possono camminare i topi! Uomini e topi! Parola dura, detta da un Vescovo dall’altare: eppure deve essere detta, perché mai gli uomini possano essere ridotti a topi! E niente legittima, niente serve da scusa, niente diminuisce la responsabilità! … All’origine della tragedia di Ravenna ci sta proprio questo: la degradazione della coscienza. Bisogna pur dire che si sta perdendo il confine tra bene e male: il guadagno, il successo, la riuscita, la propria gratificazione prendono il posto di quell’attenzione alla coscienza che, anche nella nostra Romagna, gli stessi atei han conservato come tesoro prezioso da trasmettere ai propri figli: il culto rigoroso e il gusto per ciò che è onesto. Il bene che si compie a costo di qualsiasi perdita, il male che si evita a costo di rinunciare a qualsiasi guadagno, lieti della coscienza onesta, pulita. Questi nostri ragazzi  morti ci dicono alla  fine che il valore sul quale la coscienza  deve puntare è la dignità della vita umana: nulla potrà essere lecito che sminuisca il valore della vita, e tutto dovrà essere tentato che ne accresca l’estimazione e ne aumenti lo sviluppo.”

 ferracuti

Alla tragedia della Mecnavi  è stato dedicato anche un fumetto di realtà che ha vinto il premio Komikazen 2007 (Promosso da Regione Emilia Romagna, Comune di Ravenna e Associazione Mirada),un libro di Leonardo Guardigli “Mecnavi. Ravenna 13 marzo 1987”, Centro fumetto Andrea Pazienza 2008.

Molti altri prima e dopo la tragedia della Mecnavi sono stati i morti per incidenti sul lavoro nel porto di Ravenna : una lapide sotto la gru nella darsena di città ricorda Domenico Mazzotti morto nel 1947 e poi, tra gli ultimi, Luca Vertullo, il ventiduenne morto l’1 settembre 2006 al suo primo giorno di lavoro al porto, cui Gregor Ferretti ha dedicato la canzone “Portuale” (https://www.youtube.com/watch?v=XFw7CK7ZT9E), Diop Gougnao, un senegalese di 51 anni morto il 1 dicembre 210, Daniele Morichini, di 44 anni morto il 6 marzo 2012,un russo di 25 anni morto il 9 marzo 2012, un marittimo filippino di 59 anni morto il 14 novembre 2014.

 

Ai morti della Mecnavi e agli morti sul lavoro nel porto sarà dedicato nell’ambito del Ravenna festival 2015 lo spettacolo del Teatro delle Albe “ Il Volo. La ballata dei picchettini” di Luigi Dadina, Laura Gambi e Tahar Lamri. Lo spettacolo sarà rappresentato il 25 giugno nella Darsena di città.