carabiniere

Come certo saprete Lido Adriano è da diversi anni un paese da cui video maker, artisti, registi cinematografici e fotografi hanno tratto ispirazione, facendone il set e spesso il soggetto di loro opere. Da Yuri Ancarani che, credo per primo, ha colto la varietà dei mondi e dei personaggi che offriva il nostro lido, al Teatro delle Ariette, a Luca Gennari che sta girando un film-documentario proprio in questo periodo, a Filippo Molinari e Cesare Fabbri, che l’hanno fotografata. Anch’io che scrivo, da un po’ di tempo sogno, assieme ad Alessandro Renda e a Laura Gambi, di realizzare un film proprio qui in paese. La mattina del 24 dicembre, alle otto, ci aggiravamo, a bassa velocità in auto per le vie deserte di Lido Adriano. Una nebbia leggera, l’asfalto umido, nero, lucido rifletteva velatamente i condomini, gli alberi che affiancano le strade. Una signora puliva con lo straccio il pavimento sotto il porticato davanti al suo bar. Una pattuglia dei carabinieri, insospettita dal nostro lento procedere, dalle fermate a motore acceso, ci ha affiancati. Dopo un primo momento di imbarazzo, abbiamo cercato di spiegare cosa stessimo facendo: ”…niente, stiamo pensando di girare un film, guardavamo e intanto ci facevamo domande sui luoghi e sulle persone che abitano qui”.
E’ iniziato un breve, civile, dialogo con i due carabinieri che ci avevano fermato.

Anche da noi in Romagna abbiamo problemi con la criminalità organizzata. Da tempo il fenomeno investe tutto il Nord Italia e purtroppo anche Lido Adriano fin dalla sua fondazione.
Spesso il dibattito giornalistico-politico cittadino, invece, mette al centro i micro-crimini, il “degrado” di certe zone, i barboni, i pusher di quarta serie. Non sono questi i problemi di fondo.
Quanti soldi illegali entrano nel sistema produttivo e creditizio ravennate? Io non lo so, penso siano tanti. Pecunia non olet. Sopratutto in periodo di crisi.
Non sono un amante e un patito delle uniformi. Per la mia generazione la leva era obbligatoria e quando mi sono ritrovato in divisa non ho mai sentito i brividi all’alzabandiera.
Eppure credo che sia importante ricordare chi ha dato la vita per la difesa della legalità.
Per difendere, anche, Lido Adriano.
Dedico queste righe a Valerio Bertazzon, agente scelto della polizia di stato. Morto lottando contro la mafia, nelle acque del nostro mare, come le migliaia di migranti che non ce l’hanno fatta a raggiungere le nostre sponde.
Solo la democrazia, il rispetto delle diversità sancito dalla nostra costituzione, possono garantire una convivenza, aldilà delle appartenenze politiche, religiose, morali, familiari.

“Benché fisicamente debilitato Valerio, quella maledetta domenica 17 maggio 1992, era felicissimo di essersi offerto volontario per quel servizio di appostamento in località balneare, predisposto contro esponenti di spicco della malavita calabrese e autoctona. Lo aveva partecipato ai colleghi. Finalmente un giorno di stacco da quella gravosa e inesauribile attività di ascolto.
Doveva andare a riposo, quel giorno. Ma lo aveva anticipato al sabato, appositamente per l’occasione: era stato a casa, in famiglia. Aveva giocato con le due sorelle minori, Katia e Sonia che quella sera non lo volevano lasciare andar via. Lui stesso lo aveva loro affettuosamente “contestato”. Un saluto, un abbraccio ai genitori e alle sorelle e via, nuovamente sulla strada per Bologna.
L’indomani, a Lido Adriano (RA), l’appuntamento con il suo destino fatale.
Dopo una giornata passata al sole su alcuni scogli, in servizio di appostamento e di osservazione predisposto nei confronti degli infami criminali, nel primo pomeriggio, spostandosi a nuoto per raggiungere una posizione più favorevole all’osservazione, scompariva in acqua.
Il mare ha chiesto e l’Arma ha pagato un prezzo pesantissimo alla Giustizia, con la perdita di uno dei suoi figli migliori. Anzi, il migliore dei suoi figli.
A lui veniva dedicata l’Operazione di servizio del settembre 1993 che portava all’arresto, in ambito nazionale, di 191 persone responsabili, fra gli altri, di reati consociativi di stampo mafioso. Fra di essi il gotha della malavita organizzata calabrese, appartenente alle famiglie Mammoliti, Romeo e Pesce. L’ultimo servizio svolto da Valerio, infatti, era uno dei tanti profusi durante le fasi di detta attività investigativa, protrattasi per quasi tre anni.” (tratto dal sito vittimedeldovere.it)