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Heiner Müller (Eppendorf, 9 gennaio 1929 – Berlino, 30 dicembre 1995) è stato un drammaturgo e poeta tedesco, scrittore, saggista e direttore di teatro. Venne definito “il massimo poeta di teatro vivente” dopo Samuel Beckett, ed è probabilmente il più importante drammaturgo tedesco del XX secolo dopo Bertolt Brecht. I suoi “pezzi enigmatici e frammentari” sono un contributo significativo al teatro postmoderno. Nato a Eppendorf, in Sassonia, nel 1947, figlio di un perseguitato dal nazismo e poi dal comunismo, nel 1947 s’iscrisse al Partito di Unità Socialista di Germania e poi iniziò a lavorare per la DSV (Associazione Tedesca degli scrittori) nel 1954. Sposò Inge Müller, una scrittrice, che si suicidò nel 1966. Vinse nel 1959 il Premio Heinrich Mann e nel 1990 il Premio Kleist.
Il suo rapporto con la Germania dell’Est cominciò a deteriorarsi con la sua opera Die Umsiedlerin, che fu censurata nel 1961 dopo una sola rappresentazione. Nello stesso anno Müller fu espulso dall’Associazione degli scrittori.

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Il governo della Germania dell’Est guardò con circospezione Müller negli anni seguenti, impedendo la prima rappresentazione di Der Bau nel 1965, e censurando Mauser nei primi anni settanta. Müller cominciò a lavorare per le compagnie teatrali della Germania dell’Ovest negli anni ’70 e ottanta, come regista di alcune delle sue opere più conosciute a Monaco, come Germania Tod in Berlin (1978), Die Hamletmaschine (1979) e Der Auftrag (1982).

Grazie alla sua crescente fama mondiale, Müller cominciò a vedere riconosciuto il proprio lavoro anche nella Germania dell’Est. Fu ammesso all’Accademia delle Arti della Germania dell’Est nel 1984, e due anni dopo diventò membro dell’Accademia delle Arti di Berlino Ovest. Non fu però riammesso all’Associazione Tedesca degli Scrittori fino al 1988, poco prima della fine della Repubblica Democratica Tedesca. Dopo la caduta del Muro di Berlino, Müller diventò anche presidente dell’Accademia delle Arti della Germania dell’Est per un breve periodo nel 1990. Nel 1992 gli fu proposto di entrare a far parte della direzione del Berliner Ensemble, la compagnia di Brecht.  Nel 1995, poco prima della sua morte, fu nominato suo direttore artistico.

Negli ultimi cinque anni della sua vita Müller continuò a vivere a Berlino e a lavorare in Germania e in Europa, per lo più producendo rappresentazioni delle proprie opere. In questo periodo scrisse pochi nuovi testi di teatro mentre produsse molte opere di poesia.

La fine della DDR nel 1989 significa per Müller una profonda crisi artistica. Il suo lavoro da quel momento in poi sarà segnato dalle regie e dal ruolo direttivo al Berliner Ensemblee alla Volksbühne. Sempre nel 1992 pubblica la sua autobiografia: immediatamente attaccato per non aver detto di essere stato un informatore della Stasi, Müller risponde pochi anni dopo pubblicando, nella seconda edizione, i documenti che riguardano i suoi rapporti con la Stasi nonché un’intervista dal titolo C’è un diritto dell’uomo alla codardia. Il giornalista gli chiede degli incontri con un uomo dell’apparato, Müller racconta che si vedevano tre o quattro volte l’anno e parlavano di politica internazionale, racconta di aver chiesto una volta al funzionario: «perché Lei parla con me?» domanda alla quale il funzionario aveva risposto «perché Lei rimanga qui». Müller racconta anche che su richiesta del funzionario aveva espresso il suo parere sulle misure da prendere nei confronti di un altro scrittore. «Carcere o estradizione». Müller aveva votato per l’estradizione. Allora il giornalista gli chiede: «E questa non era collaborazione?» «Cosa significa collaborazione?» risponde Müller «io non ero dell’idea di rinunciare alla DDR, non ero per la riunificazione. Non mi sarebbe mai venuto in mente. Sapevo che non sarebbe durata a lungo ma c’era questa illusione di Gorbaciov, la speranza che il sistema si potesse ancora riformare.»

Negli ultimi anni, che sono anche quelli dell’affermazione pubblica e di un’insperata gioia domestica (la relazione con la fotografa Brigitte Maria Mayer e la nascita della figlia Anna) Müller si trova a fare i conti con un «teatro senza dittatura» che non si sa più a cosa possa servire. Nella nuova Germania unita il teatro è “mercato” come tutto il resto, come lo stesso accanimento dei giornali sulla sua “collaborazione” con gli apparati della DDR.

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SGUARDO ESTRANEO: CONGEDO DA BERLINO
Dalla mia cella davanti al foglio vuoto
In testa un dramma per nessun pubblico
Sono sordi i vincitori i vinti muti
Uno sguardo estraneo su una città estranea
Giallogrigie le nubi passano alla finestra
Biancogrigi i piccioni cagano su Berlino
 

BIRTH OF A SOLDIER
Sullo schermo un soldato inglese
che conta cadaveri in un villaggio bosniaco
Piange sotto il casco blu A uno sguardo successivo
Mi guarda un lupo che digrigna i denti
La smorfia il suo ultimo saluto all’umanità
TRA LE BATTAGLIE CONTRO ME STESSO
che sono i miei lavori
(tipo di arma e lotta cambiano)
(uno di noi vince sempre, di solito
è l’altro)
c’è un tempo morto, scandito da
foraggio coiti droghe chiacchiere: la vita.
È troppo lunga, le ferite
si chiudono troppo in fretta.

 

IERI IN UN POMERIGGIO DI SOLE

Traversando la morta città di Berlino
Di ritorno da qualche estero
Ho sentito per la prima volta il bisogno
Di disseppellire mia moglie dal suo cimitero
Su di lei ho buttato io stesso due palate
E di vedere cos’è rimasto di lei
Ossa che non ho mai visto
Di tenere il suo teschio fra le mani
E raffigurarmi com’era il suo viso
Dietro le maschere che portava
Traverso la morta città di Berlino e altre città
Quand’era rivestito dalla carne.

Non ho ceduto a questo bisogno
Per timore della polizia e delle ciance dei miei amici.

 

TRISTANO 1993
Ieri mio figlio aveva un’aria strana
Una notizia orribile lunga un intero spot
Negli occhi di mio figlio io
Che ho visto troppo ho letto la domanda
Compensa  ancora il mondo la fatica di vivere?
Un istante una notizia orribile
Lungo un intero spot io ero il dubbio
Devo augurargli una lunga vita
O per amore una precoce morte

 

“Io sono l’angelo della disperazione. Con le mie mani distribusco l’ebrezza, lo stordimento, l’oblio, piacere e tormento dei corpi. Il mio discorrere è il tacere, il mio canto il grido. All’ombra delle mie ali dimora lo spavento. La mia speranza è l’ultimo respiro. La mia speranza è la prima la prima battaglia. Io sono il coltello con cui il morto disserra la sua bara. Io sono colui che sarà. Il mio volo è la rivolta, il mio cielo l’abisso di domani.” (Heiner Müller, Non scriverai più a mano)

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OPERE

Tutta la produzione di Müller  sembra attraversata da una sorta di ossessione della storia tedesca, passata in rassegna nei suoi nodi cruciali con un atteggiamento diviso tra pessimismo e provocazione, scetticismo e paradosso. Si è affermato come autore scomodo, ma autorevole per coerenza di tematica (individuo e storia, aspirazione in chiave marxistica all’umanesimo socialista e distacco del dato storico reale da ogni utopistica semplificazione), per ardimento critico (causa prima dei pesanti ostracismi nella Repubblica Democratica, cui pur sempre è rimasto vincolato), per abilità stilistica (in gran parte con aggancio, non già nostalgico bensì provocatorio, alla versificazione più tradizionalmente accreditata).

Sulle orme di B. Brecht si è affermato con opere tese all’edificazione del socialismo della Repubblica Democratica Tedesca (Der Lohndrücker, 1957; Die Korrektur, 1959, i due lavori in collaborazione con la moglie Inge, morta poi suicida; Der Traktor, 1961; Der Bau, 1964), nelle quali affronta direttamente i problemi della realizzazione concreta della nuova società, in cui egli crede, mettendone in rilievo nel contempo contraddizioni persistenti ed emergenti ostacoli, generatisi a danno dell’individuo anche per sua stessa responsabilità, essendo oltremodo diversi i tempi delle modificazioni sociopolitiche e quelli, assai più lenti, dell’adeguamento delle singole mentalità. Successivamente ritrascrisse, con esiti felici, tragedie greche e shakespeariane (Philoktet, 1965; Ödipus Tyrann, 1967; Prometheus, 1969; Macbeth, 1972). Tornò alla contemporaneità con Germania Tod in Berlin (1971), Die Schlacht e Traktor (1975), Leben Gundlings. Friedrich von Preussen. Lessings Schlaf Traum Schrei (1976), aggressivamente parodistici delle idealità borghesi. Nella produzione successiva (Hamletmaschine, 1977; Quartett, 1980;Verkommenes Ufer, 1982; Wolokolamsker Chaussee IV und V, 1989) sembra approdare a un nuovo linguaggio drammaturgico in cui alla riduzione dell’intreccio si unisce un dolente pessimismo, testimoniato anche dagli scritti saggistici (Zur Lage der Nation, 1990; Krieg ohne SchlachtLeben in zwei Diktaturen,1992). Negli ultimi anni si dedicò principalmente alla regia teatrale: in Mauser(1991) e Duell-Traktor Fatzer (1993) affiancò a un proprio testo un frammento di B. Brecht. Postumo nel 1996 è stato rappresentato Germania 3: Gespenster am toten Mann, a cui lo scrittore, dopo un lungo silenzio creativo, stava lavorando al momento della scomparsa. Si tratta di un lavoro complesso e frammentario sulla storia tedesca, nel quale entrano in scena personaggi come Stalin, Hitler e lo stesso Brecht, chiamato a riflettere sul destino del suo Berliner Ensemble.

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Hamletmaschine (1977)un requiem per la DDR e per l’Occidente: «Io non sono più Amleto. Non recito più alcuna parte. Le mie parole non dicono più niente. I miei pensieri succhiano il sangue alle immagini. […] Pietrificazione di una speranza.»