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Forse tutto inizia una notte di settembre
tanti anni fa in un trullo
alla luce di un lume a petrolio
tra rugosi ulivi placidi in campagna
steso su una sdraio mezzo appisolato
incantato dalle cinquanta Ave Maria del Rosario.

La fantasia vagava
per vincere la noia l’abulia
di litanie di voci modulate sempre uguali.
Sognavo notti in macchina
lunghi ritorni nel buio sotto le stelle
(allora i cieli splendevano di oscuro
non esisteva inquinamento luminoso).
Immaginavo viaggi ove sfavillavano all’incontro
solo le luci di auto sparute
di rari camion di rombanti
moto sferraglianti.
Mi vedevo su una spider blu sfrecciante
verso l’amore verso i suoi occhi lucenti
per le strade a tetto scoperto
verso la meraviglia dell’ignoto.

La Romagna e l’Emilia sono lunghe.
Prima della notte dei fuochi a Santarcangelo (1978)
e del prosciutto affettato in una chiesa sconsacrata
di Piacenza dopo Buonanotte Brivido (1988? 1989?)
poliziesco comico spettacolo di amici
ci sono le mongolfiere di Bologna (1977).
(Correvamo a lanciare
forme colorate di carta e fuoco
sollevate da azioni e canti
per chiedere di piazza in piazza
la libertà dei compagni carcerati).
La ribellione delle strade si sarebbe riversata
dopo il sangue di Aldo Moro nel teatro:
fiamme invasero di draghi di rose d’artificio fiaccole e incanti
il vecchio borgo romagnolo. Il festival scoppiò
Santarcangelo La città dentro il teatro (1978)
spettacoli verticali luminarie festa incontri
all’inizio degli anni di piombo, dopo gli scontri.

Girare in treno in auto in furgone.
Di giorno di notte ogni stagione.
Con il teatro tracciare vie alla passione.
In un gesto una storia una scena mutante
un viluppo di corpi
una voce cadenzata o stridente
una canzone un rito battente
un atto lacerante uno sguardo
un’assenza struggente
trovare quegli occhi d’amore.
Nomadismo: costruire un’etica una società degli incontri e degli scambi
una geografia un’antropologia delle emozioni
un  protocollo misterioso danzante della grazia quando la città brucia
(come bisbiglia Giuliano, Scabia del teatro angelico viandante).

Modena: il laboratorio del San Gimignano
il teatro come monstrum meravigliosa invenzione
azione che reinventa lo spazio e la visione,
tinge la stanza di rosso la riempie di terra e di cani guardiani (Gilgamesh / Raffaello)
fa oscillare altalene in una chiesa abbandonata (Otello e le nuvole / Valdoca)
diventa viaggio pericoloso affascinante interiore
smarrimento nei sensi ricerca di altre strade (EnriqueVargas).
La festa funerale del San Gimignano e il Teatro delle Passioni
il festival Vie strade del teatro oggi
tra questa terra che sembra talvolta dormire
sonnecchiare mentre ripete altre litanie
tra ModenaCarpiVignola e il mondo
e una sera perso a girare una tangenziale (a Correggio)
in cerca di Peter Brook (spettacolo brutto)
e un altro giorno smarrito a Carpi per Virgilio (Sieni)
e per fragili case rifugio ai terremoti
con note e cantanti come vento
come rabbia come terra e culla.

La paura di non arrivare in tempo
(la spider blu non l’ho poi trovata).
Quella sera dell’acquazzone tra Modena e Vignola.
Imparare le strade. Non smarrirsi.
(Cosa cerchi di costruire Guglielmo?
Un teatro nazionale o solo un teatro degno?
Cerchi candidamente il migliore possibile dei mondi
o lo sguardo di attrice che invaghisce?
Il paese dove il limone fiorisce
o la grana di voce di palude che rapisce?
Per finire a coltivare un orticello
dopo mille e mille avventure vorticose
perdere l’ombra e ritrovare il fardello
del mondo fuggendo per le sue strade infinite
– forse rintracciare il piccolo tuo mondo,
quel lembo che ti fu dato in proprietà per sempre).
Non rimanere solo nell’abitacolo dell’auto
consolato dalla radio dalla voce esaltata disperata
dagli strappi dalle estasi di Mahler!
Costruire mappe. Geografie ricostruire.
Luoghi dei pensieri delle palpitazioni.
Camere. Ambienti. Posti.
Sguardi. Discorsi. Abbracci. Relazioni.

Motus Clandestino Masque Due Mondi Città di Ebla
Impasto Nanou Fanny&Alexander Menoventi
Link Xing Cantieri Danza Le Supplici Danza Urbana
sigle nomi generazioni
dispositivi rivolte rivoluzioni
macerie in cerca di respiro
di utopia di realtà
sotto le croste dietro le finzioni.

Reggio Emilia. La danza i ponti di Calatrava
la tangenziale il parcheggio infinito
il quartiere dei teatri Pina Bausch
la Primavera germinante di Virgilio.
Ferrara la nebbia la danza ancora
Wim Alain Sasha Maguy Pina Constanza
tavole sinottiche del penare quotidiano
come Bosch contorti immaginati
come Dürer feroci dettagliati.
Ferrara nella nebbia ancora
vecchi laboratori amici affetti ricordi tradimenti.
Parma: i ritorni di notte.
Il freddo umido sui binari alla stazione.
La nebbia al Parco.
Le corse sul lungotorrente per arrivare al treno.
Quello spettacolo in russo che mi rapì
senza capire una sola parola
e scoprii Nekrosius con Zio Vanja
e poi il ghiaccio il fuoco Hamletas
e Minetti (Bernhard) a dare caccia ai topi
riempiva magro sbilenco la scena:
ciao Giorgio Gennari che ci hai fatto vedere
anche la tragedia religiosa del tazieh.
Il deserto intorno a Lenz.
La città stravolta di cantieri incompiuti
(come spesso avviene i soldi son finiti).
Gli attori sensibili
vecchi matti al mondo abbandonati
giovani donne down
in quello spoglio capannone
di una via che ricorda la Grande Guerra
del Pasubio le trincee gli assalti l’orrore.

Rimini d’inverno. Altri laboratori.
I tossici ai bagni della stazione ancora notte.
Come in Altri libertini: in quei luoghi limite
di preghiera di litania senza scopo della vita
di passaggio di caccia le stazioni
i bar dagli umidi banconi (un tempo)
le sedie stinte i neon le albe le attese
vagare in cerca di qualcosa
scoprirsi senza fine
(ancora di Correggio l’immagine).
Anni cinquanta o settanta chissà perché
uguali – prima del salto in questa postmodernità
che sa piuttosto di plastica colorata
inodore insapore inoffensiva impensabile.
Gli hamburger bruciati puzza insopportabile
in Aftersun (dietro il sole) di García – Rodrigo.

Le Ariette. La scoperta di Teatro da mangiare?
nella fredda valle del Rio Marzatore
la catarsi delle tagliatelle
dopo la fine della politica
l’infinito silenzio buio delle notti di campagna
i suicidi degli amici
la speranza delle piccole gemme
in quel giorno del 2001 fine inverno.

Teatri di Vita a Bologna: la periferia.
Spettacoli di giovani e di giovani maestri
(Strana cosa chiamarsi Meister Maestro – disse Guglielmo
che cercava per le strade il teatro del futuro
non il futuro del teatro vigente:
Farei meglio a chiamarmi Geselle
un apprendista solo un allievo io sono)
(e la Morara dove arrivarono sconosciuti o poco noti
i Druidi Lupinelli Manfredini – il Miracolo della rosa
un rauco disperato vibrante canto di reclusione in cerchio –
e si rifugiarono Robledo e Delbono
che non interessavano a nessuno
e si beveva vino
si discuteva mangiando tarallini).
Il Gorilla Quadrumàno al Pilastro (1975),
mentre gli americani lasciavano Saigon.
La maritata che grida ai condomini
la sua solitudine la ribellione
suonando una trombetta a Calderara
sull’orlo del precipizio di platea.
Le case del teatro corsare di Ravenna
al Rasi nella zona commerciale
al Lido in giro per il mondo
tra musiche Africa e Romagna cento voci
straniere dialettali antiche venture
un coro (Marco come rabdomante lo dirige)
una piccola figura di donna che combatte coi fantasmi
(Ermanna nome di guerriera).
La casa del popolo di Forlì davanti al Piccolo:
piada e partita prima dello spettacolo
nel vocio assordante di chi gioca a carte
di chi la sfida la lancia a biliardo.
Cesena: la poesia di Mariangela (Gualtieri)
le luci gli sbaffi rossi di colore i corpi giovani di Cesare (Ronconi).
Della Socìetas le visioni nere
il Comandini sventrato moltiplicato
bosco caverna dell’orco casa
lo spettatore da se stesso rovesciato.

Mondaino: un teatro al limitare del bosco
(esistono ancora in Romagna i boschi?).
Dicono che sembri una foglia dall’alto
(altri avanzano più osceni paragoni).
Il mio rifugio (2004) dopo l’abbandono di Santarcangelo il festival
dove l’idea di un progetto continuo stabile e avventuroso insieme
era – come spesso in quel luogo è avvenuto – naufragato.
A sondare a Mondaino il teatro con la critica i prossimi miei anni.
L’incontro con Chiara (Alessi) con Lorenzo (Donati) (e vari altri).

La mia stanza le mie stanze
galleggianti sui condomini
da cui partire per i viaggi teatrali:
prendi il taccuino fai la valigia (se vai lontano)
altrimenti solo organizza la tua sacca di psico-viandante.
Aspetti qualcosa molto ti aspetti,
cosa troverai per le strade nelle città
nelle luci nel buio nelle periferie?
Torna e ritrova. Parti e ricerca.
Filtra tutto nella notte del cuscino
ripeti come un mantra mentre sogni
dettagli scontorni sabbie
paesaggi lacustri della tua visione
fin che l’alba la forma non dischiuda.

Il sonno che ti prende durante le prove nei laboratori
mentre guardi uno spettacolo
certe volte mentre parli e non sai perché
un altro mondo lento si fa strada
ti spossa ti soverchia ti possiede
ti lascia intravedere nel mistero.
Come ti svegli poi per la strada
come se attendessi fuori del teatro
la tanto inaspettata
tanto invano attesa rivelazione.

Il San Leonardo di Leo (de Berardinis):
un teatro per la città.
Un laboratorio della memoria e del futuro.
Un’agorà. Una breve utopia.
Unione delle arti sceniche.
Teatro popolare e di ricerca
(ri-cerca: cerca ancora ancora ancora cerca
cerca ancora il suono del pianoforte
chiuso percosso dalle avanguardie:
ma non dimenticare di portarlo
il pianoforte – di suonarlo – per le strade
con la sgargiante immaginosa blusa gialla).

Il Dams: la formazione le passioni
il gesto che negli anni settanta si apriva al mondo
in un teatro di centinaia di chilometri quadrati
sull’Appennino Reggiano: Ramiseto Cervarezza
Busana Marmoreto Cinquecerri Ligonchio
e molti altri paesi frazioni bar osterie scuole
esplorazione del Paese intorno con il Gorilla
(il Quadrumàno). I maggi drammatici
la Resistenza i contadini i montanari
“O popolo nel millenovecento
quaranta quattro ricorreva l’anno…”
“Su nei monti d’Emilia ov’il gran vento
assai spesso ne reca molto danno…”.
Gli operai a Mira vicino Marghera
gli studenti che eravamo strappati ai libri
stupiti dagli incontri dietro un pupazzo gigante
Gorilla che non resta a corte
tra le fiere torna a regnare in mezzo al bosco.
La storia. I tempi della politica della città.
La psiche intricata la psiche nascosta,
la psiche bambina
(che nascondiamo a noi stessi
nel districarci nel distrarci nel nostro viaggiare
tra una catastrofe un’esaltazione una banalità).
Le storie (i viaggi nella mente).

L’entrata della compagnia nella città
se non proprio trionfale
abbastanza appariscente e chiassosa
da far restare a bocca aperta quei bravi cittadini
(o contadini o paesani…)
ai quali quelle fantastiche creature sembravano
– come erano del resto veramente –
di un altro mondo.

I viaggi dei comici.
Scaramouche. Capitan Fracassa.
Wilhelm Meister.
Ic bin kein Meister,
Ich bin Geselle.
Quando dirò: attimo fermati sei bello.
La nostalgia del tiglio
la canzone più malinconica e struggente
tra le granate che sollevano fango
e l’attacco all’ultima baionetta:
Dove siamo? Che cos’è?
Dove ci ha gettato il sogno?
(si ascolti Der Lindenbaum di Schubert
si legga il finale della Montagna incantata)

“Presso il pozzo davanti al cancello
c’è un tiglio
nella sua ombra sognai
molti dolci sogni”.

Crepuscolo pioggia e sporcizia
rossi bagliori nel cielo cupo
ininterrotto brontolio di cannoni…

“Ora sono a molte ore di viaggio
lontano da quel luogo
ma sento sempre quel mormorio:
– Lì troveresti il riposo”.

Brontolio di roboanti tuoni
che riempiono l’aria umida
squarciata da sibili acuti
da proiettili che sopraggiungono furibondi
come latrati di cani infernali
e concludono il loro percorso tra schegge
schizzi scoppi e fiammate
da gemiti e grida
tra squilli di tromba e tamburi che spingono avanti
in fretta sempre più in fretta.

Percorrere altri mondi – scoprire
Abbandonarsi al moltiplicarsi
Al fiammeggiare
Al distruggere
All’inventare
A svanire.

Tornare a quel mantra
ossessivo rassicurante dell’infanzia:
orapronobìs orapronobìs orapronobìs
viaggiare ancora – in mente –
o accettare di farsi rapire da quel suono
tornare alla propria campagna all’orto perfetto
concluso tanto simile alla scena
a quel terreno Paradiso
(o perfetto Inferno di tortura).
Provare da lontano a ricostruire le voci,
le voci del mantra rassicurante ossessivo:
orapronobìs pronobìs pronobìs
e dopo sotto le volte delle pietre antiche
le favole sussurrate per dormire
che lanciavano le principesse a consumare
sette paia di scarpe sette bocce di lacrime
a incamminarsi a cercare
il loro smarrito meraviglioso principe da salvare.

Pasqua – Festa della Repubblica 2014