Luigi Dadina

6 MARZO 2023:

Il Gran Teatro di Lido Adriano è un progetto in cui voglio “scomparire” dando voce ai cento,
centocinquanta che saranno in scena tra la fine di maggio e i primi di giugno al Cisim di Lido Adriano.
Ogni settimana dal mese di ottobre, in sette diversi laboratori, stanno lavorando al testo di Farid Ad-Din
Attar, Mantiq At- Tayr, Il verbo degli uccelli.
Questo progetto ha a che fare con la mia identità, con il mio percorso artistico ed è realizzato insieme a
sette coautori: Federica Vicari, organizzatrice e anima del Grande Teatro, Nicola Montalbini, artista
visivo, Alessandra Carini, gallerista e progettista d’eventi, Tahar Lamri, scrittore, Lanfranco Vicari rapper,
direttore artistico del Cisim, Massimiliano Benini, rapper e grafico, Francesco Giampaoli, musicista.
Ouidad Bakkali ci ha fatto da madrina aiutandoci a far conoscere alla stampa e alla città il progetto,
Alberto Cassani, che affianca l’avventura del Cisim da sempre, ancora una volta ci ha promosso e
sostenuto.
Protagonista di questo spettacolo sarà Lorenzo Carpinelli, attore ravennate cresciuto nella non-scuola del
Teatro delle Albe, co-creatore dello Studio Doiz che riunisce alcuni artisti e intellettuali della nostra città
legati anche da uno status generazionale.
Lo spettacolo che ha consacrato il Teatro delle Albe fondato nel 1983 da Ermanna Montanari, Marco
Martinelli, Marcella Nonni e da me, aveva per titolo I Polacchi, dall’irriducibile Ubu di Alfred Jarry:
avrei dovuto essere il coprotagonista, diventò invece lo spettacolo che non riuscii a fare. Era il 1998.
Abbandonai le prove dopo un mese e facendo “impazzire” Marco e Ermanna. Come ripartire da una
caduta così rovinosa? Come continuare a cercare il Simorgh?
Il Simorgh è l’anima capace di guardare come l’Essere Divino. Il fine del viaggio alla ricerca del Simorgh
è la ricerca di se stessi. Il Simorgh si mostrerà a chi avrà superato le sette valli, lo farà nella forma dello
specchio. Al suo cospetto il viaggiatore vedrà il proprio volto. Così ci racconta, ci svela il poema che
stiamo affrontando in questa prima prova del Grande Teatro di Lido Adriano.
Il Simorgh corrisponde, in parte, all’Araba fenice, l’uccello di fuoco che risorge dalle proprie ceneri,
simbolo di morte e resurrezione.
Sono cresciuto in un villaggio operaio che avevo lasciato molto giovane poco prima che l’eroina portasse
via molti amici. Per ripartire dalla caduta rovinosa dovevo tornare alle mie radici, stare in mezzo alle vite
spesso squassate della periferia.
Laura Gambi, con cui condivido da sempre arte e vita aveva aperto con la sua cooperativa uno spazio
educativo per adolescenti a Lido Adriano. Da lì la scintilla che ancora mi muove.
Operare, essere, riconoscersi nel quartiere, paese, periferia, di questo enorme conglomerato di condomini
sul mare che trae il suo nome, omen nomen, da una terzina dantesca in cui si narra dell’arrivo della
Madonna Greca, patrona della città di Ravenna, giunta da oriente in volo sulle acque del mare, così come
sono moltissimi gli abitanti arrivati dal mare, dall’oriente e dal sud del mediterraneo, in questo lembo di
asfalto e condomini affacciato sul mare Adriatico.
La Madonna arrivò nella nostra città la domenica in albis del 1100. Rinvenuta sulla spiaggia dai monaci di
Santa Maria in porto.
Nostra Signora in su Lito Adriano.
Alla fine degli anni novanta un primo laboratorio con gli adolescenti del Lido più popoloso del ravennate,
poi molti e molti altri. Centinaia di adolescenti.
Con Laura scrivemmo un libro per riflettere sul Lido cosmopolita e sul nostro procedere culturale e
artistico in quella realtà complessa e vitale, Lido Adriano porta d’oriente.
Poi un viaggio in Argentina.
In Argentina, nel quartiere della Boca a Buenos Aires, assistemmo a uno spettacolo di Catalina Sur.
L’esempio emblematico del teatro comunitario che tutt’ora riveste una grande importanza nel teatro
argentino.
Fu un esperienza indelebile che ha continuato a nutrirmi.

Musica, canzoni, grandi cori, recitazione, danza.
E anche l’orgoglio di raccontare una nazione, una città, un quartiere, La Boca. E per raccontare la nascita
di quei luoghi non si poteva che raccontare delle infinite vicende umane di immigrazione. La partenza da
una terra lontana, il viaggio, le difficoltà dei primi anni, la nuova patria.
Ci colpì in particolare l’evidente e fattiva collaborazione di molti abitanti del quartiere, che fungevano da
guide, c’era chi vendeva cibo di strada all’esterno del teatro, le maschere e la biglietteria erano gestite da
persone del quartiere.
Quel teatro era oramai così importante e conosciuto da attirare molti taxi dal centro della città. Un lavoro
di base in un quartiere difficile aveva prodotto un’identità e un evento che era diventato noto e
desiderabile per gli argentini come per gli stranieri in visita a Buenos Aires.
Era come se lo stormo degli uccelli de La Boca si fosse alzato in volo alla ricerca di un senso e avendo
incontrato il teatro avesse trovato il Simorgh, che si era mostrato in forma di specchio, aiutandoli a
ritrovare se stessi e la comunità.
Il progetto del Grande Teatro di Lido Adriano nasce dopo un decennio di attività del Cisim, sala da
concerto, centro culturale rivolto alla comunità cosmopolita di Lido Adriano, casa del rap e sede di un
importante festival, luogo di proposte e confronto tra numerosi musicisti romagnoli legati alla scena
underground, teatro, sede di una continua attività laboratoriale.
Il Cisim è gestito e diretto da Il Lato oscuro della Costa, che da sempre collabora con il Teatro delle
Albe\Ravenna Teatro.
Il progetto del Grande Teatro nasce dalla lettura della straordinaria ricchezza e complessità di situazioni e
artisti che il Cisim ha generato e ri-generato.
Il progetto del Grande Teatro di Lido Adriano vorremmo proseguisse per diversi anni.
Ho cominciato a parlare di questa idea del teatro comunitario al Lato Oscuro della Costa e alle Albe poco
prima della pandemia.
Poi un incontro alla casa-galleria di Alessandra Carini nel mese di dicembre del 2021 ha dato il via al
progetto. Parlai di questa visione. Non sapevo perchè, ma pensavo che solo un favola arrivata da oriente
potesse darci la possibilità di raccontare.
Avevo bisogno d’aria, di cose che non sapevo. Presagivo, come era successo anche in passato, che
guardare oltre avrebbe dato una svolta al mio cammino nel teatro.
Era successo con le fiabe della tradizione romagnola, che compresi a fondo solo dopo i miei viaggi in
Senegal. La scoperta delle case-aie di Diourbel mise in luce le similitudini con tanti racconti dei nostri
nonni, quando ci parlavano delle famiglie numerose, dove più generazioni vivevano sotto lo stesso tetto e
di feste come la Sfujareia, in cui vecchi, giovani e bambini si trovavano sull’aia a sfogliare le pannocchie
di mais, dando spazio a balli, canti e racconti.
Ho iniziato quindi uno scambio con Nicola Montalbini, che mi scriveva dicendomi di immaginare Lido
Adriano come un paesaggio-stanza dove potevano avvenire “derive”, e che nella tradizione indù gli spiriti
delle cose improvvisamente si manifestano proprio in quei frangenti: il crollo di un palazzo, una foglia
che cade.
Poi un giorno mi scrisse che c’era anche un racconto dove gli uccelli vanno alla ricerca del loro re e alla
fine capiscono che il re sono loro stessi.
Subito gli ho risposto dicendogli che mi interessava moltissimo.
Non sapevo ancora nulla di Farid Ad-Din Attar, del suo poema, della storica messa in scena di Peter
Brook, dell’importanza di questo testo nella storia della letteratura di tutti i tempi.
Un giorno Lanfranco Vicari mi ha detto che era ora di smetterela di parlare di teatro comunitario: “Io
immagino – mi ha detto – un teatro popolare, di popolo, e all’entrata del Cisim mettiamo una grande scritta
fatta con le lampadine: GRANDE TEATRO DI LIDO ADRIANO.”
In estate Ermanna e Marco mi proposero di intervervenire a una trasmissione di Rai Radio Tre, con un
racconto sulle Albe Afro-romagnole e mi proposero di costruirlo con Tahar Lamri, scrittore algerino,
compagno di viaggio da moltissimi anni.
Nel mese di settembre abbiamo lavorato a questo testo per la radio.

Durante i nostri incontri ho iniziato a parlargli del Grande Teatro, del Verbo degli uccelli.
Riannodando i fili trentennali di un percorso che ci ha visti protagonisti e che ha segnato la storia del
teatro, abbiamo iniziato a intrecciare freneticamente i fili di una storia ancora da scrivere.
Tahar si è gettato a capofitto nel testo del mistico sufi, il poema persiano del 1200, e rapidamente ne ha
tratto una drammaturgia che tutt’ora ci guida.
Ci siamo incontrati almeno una decina di volte per lavorare sulla trama da lui costruita, riadattandola in
vista della sua realizzazione concreta.
Sono poi partiti i laboratori, gli incontri con le donne e gli uomini, le ragazze e i ragazzi, i bambini e le
bambine, che incontro dopo incontro si stanno appropriando di questa favola e la stanno facendo loro.
Sono loro, proprio loro, i cento o forse più, gli uccelli che stanno andando alla ricerca del proprio re, loro
il viaggio, le paure e le vittorie, la piccola grande scoperta di sé, che come ci insegna Farid Ad-Din Attar
non ha mai fine, ma che forse potrà proseguire in altro modo se il viaggio sarà compiuto e allora la via
resterà aperta e non ci saranno più né guida né viaggiatore.
Sto scrivendo queste righe nei primi giorni di marzo, dietro di noi quattro mesi di lavoro, davanti a noi
ancora 100 giorni al debutto.
Ci stiamo avvicinando alle sette valli che dovremo superare per arrivare alla presenza del Simorgh.
La valle della ricerca, la valle dell’amore, la valle della comprensione o della conoscenza, la valle
dell’indipendenza e del distacco, la valle dell’unità, la valle dello stupore, la valle della povertà detta anche
dell’annientamento, quella in cui ci dice il poeta capiremo che dobbiamo essere come la polvere della
strada per imparare mille segreti.
Non so spiegare come sia successo che cento, centocinquanta persone si siano ritrovate con serietà a dare
vita, a vivere insieme questo viaggio.
Bambini, giovani di Lido, di Ravenna, ravennati con origini non italiane, rifugiati arrivati dall’Afghnistan,
dal Pakistan, dalla Nigeria, dal Gambia, immigrati arrivati a Ravenna dalla Calabria, studenti universitari,
pensionati milanesi che hanno deciso di vivere a Lido, una koinè cosmopolita.
Più ci inoltriamo nel lavoro più mi è evidente perchè la scelta sia caduta su questo testo mistico,
sapienziale, sacro.
Sacro come deve essere il teatro, sacro inteso come separato dal quotidiano, dal mondano, un atto extra
ordinario come ci ha insegnato Eugenio Barba, qualcosa che ci porti a una conversione, verso la nostra
interiorità, che arrivi al cuore dentro al nostro cuore.
Cosi ha scritto Lanfranco Vicari nel primo canto che gli spettatori sentiranno, l’inno del Grande Teatro di
Lido Adriano: “Trova nel buio fasci di rose, incendiano il silenzio, la mia prigione, cadono ali come petali
se il vento vuole, sopravvivono i colpevoli a questa ossessione, siamo deboli di devozione, siamo deboli
di devozione, siamo deboli di devozione.”
Stiamo costruendo un teatro popolare.
Se ho appena parlato di un teatro che tende all’interiorità, a convergere, a convertirsi, cerco nello stesso
istante un teatro che tenda a divergere, a divertirsi, a divertire. Sacro e profano, alto e basso, cercare
insieme e farsi travolgere dalle furie della danza e del vino, o meglio della birra come ci insegna il
maestro Sufi.
Ci siamo dati un unica regola, nel nostro teatro il coro è il centro, o arriviamo tutti o non arriviamo.
E questa è una regola inderogabile.
I laboratori in cui si costruisce Mantiq At- Tayr, Il verbo degli uccelli, vedono all’opera cento,
centocinquanta persone: artisti e laboratoristi di tutte le età e di diversi paesi.
lunedì mattina dalle 9 alle 11, Cucito e sartoria
Questo laboratorio, gestito in collaborazione con Librazione cooperativa sociale nasce da una costola di
precedenti attività rivolte alle donne immigrate e oltre a loro vede la partecipazione anche di uno studente
universitario e di alcuni disoccupati. Si occupa di realizzare i costumi dello spettacolo ideati da
Alessandra Carini e Nicola Montalbini, sotto la conduzione di Simona Tartaull, Natascia Ferrini e
Federica Vicari e cartamodelli realizzati da Stefania Pelloni. Si ragiona ad esempio su come tingere i
costumi per rendere evidenti le diverse “famiglie” di uccelli presenti nello spettacolo, i falchi, le gazze, le
colombe e così via.
lunedì pomeriggio Rap dalle 17 alle 19, dai 12 anni in su

I latoratori di rap esistono dalla nascita del Cisim e hanno dato la possibilità a molte generazioni di
giovani di misurarsi con questa arte.
In questa edizione del laboratorio condotto da Albino Nocera, la supervisione è di Lanfranco Vicari in arte
Moder, direttore artistico del Cisim e co-direttore artistico del Grande Teatro. Rapper di fama nazionale,
ideatore del Festival Under dedicato al rap underground e ultimamente anche docente al Dams di
Bologna. Oltre a proseguire la didattica storica ha anche portato un gruppo di allievi a partecipare alla
realizzazione di Mantiq at Tayr.
martedì alle 18 Musica d’insieme
Sono una decina i musicisti e i cantanti che sotto la guida di Francesco Giampaoli stanno creando le
musiche dello spettacolo. Dopo alcuni incontri finalizzati alla conoscenza reciproca, è nata una stretta
collaborazione con la scena, le cui suggestioni vengono man mano trasformate in musiche, andate poi a
modificare la tela del racconto. Proprio perchè la musica avrà un ruolo decisivo, i musicisti saranno
protagonisti di Mantiq at Tayr.
il laboratorio di teatro del mercoledi alle 19 -Teatro dai 15 anni in su
Non avrei mai pensato a una partecipazione così grande né a una qualità di ascolto così potente tra i
partecipanti, tra cui numerosi trentenni di Lido Adriano o di Ravenna.
on sono certo un coreografo, ma attraverso l’ascolto reciproco siamo stati capaci di creare un ballo degli
uccelli in volo – una scena che avevo in testa fin dall’inizio – che emoziona e che conferma come gli
stormi, le comunità, se guidate ma lasciate libere, diventino creatrici e non esecutrici. I partecipanti
variano da quaranta a cinquanta per ogni appuntamento.
il laboratorio del giovedì alle 16,30 -Teatro per i bambini delle elementari
il laboratorio del giovedì dalle 16,30 alle 19 – Teatro per i ragazzi delle medie inferiori
Questi due laboratori condotti da Lorenzo Carpinelli sono figli diretti della non-scuola del Teatro delle
Albe e danno seguito al lavorio destinato ai più giovani, che ha fatto germogliare prima il Cisim e ora il
Grande Teatro.
Parlando di trasmissione della memoria, mi pare utile ricordare che Massimiliano Benini e Lanfranco
Vicari giovanissimi parteciparono a quelle non-scuole, diventando poi guide.
il laboratorio di scenografia- giovedì dalle 19 alle 21
Si tratta di un nuovo laboratorio del Cisim, nato col Grande Teatro. Condotto da Nicola Montalbini e
Alessandra Carini, è giunto a condividere gli incontri con il gruppo del mercoledì, per elaborare con i
partecipanti le idee guida sui costumi e le scene. Non è marginale rimarcare come il Cisim abbia intessuto
da sempre il proprio procedere anche con le arti visive, attraverso la presentazione di opere e la
collaborazione con writers e fumettisti.
Non posso che chiudere questa prima riflessione a metà del viaggio ringraziando dal profondo del cuore
tutti. Per primi i miei sette compagni. Federica, per come sta conducendo con perizia questa barca tra i
flutti, Lanfranco di cui non dirò perchè ho da sempre già detto tutto, Tahar mio fratello senza il quale non
avrei litigi e estasi, parole e canti, Alessandra occhio di tutti noi, Nicola la sfrontatezza colta e generatrice,
Francesco la musica senza la quale non ci sarebbe il nostro teatro e ultimo ma non ultimo Massimiliano
detto Penombra, proprio perchè il suo vibrare tra i due mondi, la luce e il buio, incarna la fatica e la gioia
di questo viaggio.
Un ultimo ringraziamento va a Federica Savorelli che mi affiancò negli anni eroici della non-scuola a
Lido Adriano, tra la fine degli anni novanta e i primi del duemila. Con un atto gratuito s’è rimessa al
nostro fianco e la sua presenza così colma di amore e saggezza ci consola e dà forza.
Ma il grazie vero e più profondo va a voi cento, centocinquanta, donne e uomini, uccelli noti e ignoti,
arrivati da tutta la terra e venuti qui a parlamento.