Carla Lonzi3

Carla Lonzi (Firenze, 6 marzo 1931 – Milano, 2 agosto 1982) è stata una scrittrice e critica d’arte italiana, femminista teorica dell’autocoscienza e della differenza sessuale, fondatrice delle edizioni di Rivolta Femminile nei primi anni settanta del XX secolo. “Il femminismo mi si è presentato come lo sbocco tra le alternative simboliche della condizione femminile, la prostituzione e la clausura: riuscire a vivere senza vendere il proprio corpo e senza rinunciarvi. Senza perdersi e senza mettersi in salvo. Ritrovare una completezza, un’identità contro una civiltà maschile che l’aveva resa irraggiungibile”.

15pg11-lonzi

Nata a Firenze il 6 marzo 1931, Carla Lonzi si laurea in storia a dell’Arte con Roberto Longhi, ed esercita la professione di critica d’arte fino al 1970, quando, avvicinatasi al femminismo, fonda il gruppo Rivolta Femminile e una piccola casa editrice ad esso collegato. Il 1970 è l’anno della scoperta per Carla Lonzi dell’esistenza del femminismo nel mondo, è il momento di massima apertura in cui prevale lo sdegno per la consapevolezza che la cultura maschile aveva da sempre teorizzato l’inferiorità della donna. I suoi scritti, Sputiamo su Hegel del 1970 e La donna clitoridea e la donna vaginale del 1971, ci regalano una nuova dimensione, appassionata ed estrema, del suo pensiero. Sono gli anni della contestazione, della ribellione e del rifiuto per quella società che vede la donna ancora sottomessa al modello maschile. Carla Lonzi ha un ruolo fondamentale nella elaborazione del Manifesto di Rivolta femminile (1970), che contiene i pensieri più significativi intorno all’idea generale del femminismo. Durante la primavera del 1970 Carla Lonzi comincia ciò che lei stessa definisce la sua presa di coscienza stimolata dalla scoperta del femminismo e dai contatti con le donne di Rivolta Femminile. Morirà nel 1982, a Roma. L’inizio di questo percorso è segnato dall’uscita di alcuni scritti della Lonzi i quali sono considerati da quest’ultima come una premessa all’esperienza più personale che, in seguito, verrà portata avanti con l’autocoscienza. E’ appunto la pratica di quest’esperienza che le permette di portare alla luce al di fuori di sé ciò che risultava dalla sua opera di introspezione. Ciò a cui punta Carla Lonzi non è infatti la teorizzazione di una lotta contro il predominio maschile in quanto lei stessa si rivolge verso la libera espressione di sé. Lei stessa si era resa conto, sperimentandolo sulla sua pelle, della situazione di subordinazione che caratterizzava il ruolo che la società impone alla donna. Secondo la Lonzi la donna incarnava perfettamente la figura dello spettatore dell’opera d’arte il quale vive completamente dimentico di sé e delle proprie capacità creative. La donna, come lo spettatore, non ha la possibilità di proporre il proprio punto di vista e di fornire il proprio apporto creativo ma deve vivere nell’illusione del rapporto che le è fornita dall’uomo. Le conclusioni a cui arriva la Lonzi, riflettendo su questo problema, non sono, però, frutto di una semplice teorizzazione. Carla Lonzi parte sempre dall’analisi della propria esperienza e ogni testo che essa scrive risulta motivato dalle necessità interiori di quest’ultima. I primi scritti che la Lonzi redige in occasione del suo ingresso in Rivolta Femminile sono motivati soltanto dalla necessità di portare al di fuori di sé, di estromettere, tutto lo sdegno che lei stessa provava nei confronti della sottomissione, o meglio dell’inespressività, in cui viveva la donna. Questi testi quindi non vogliono essere dei punti ideologici, delle teorie con cui regolare lo sviluppo di Rivolta Femminile, ma sono il punto di partenza che permette alla Lonzi di approdare, piano piano, alla scoperta di sé. Il Manifesto di Rivolta femminile è redatto nel luglio del 1970 con la collaborazione di Carla Accardi e Elvira Banotti. In questo scritto sono raccolte le frasi più significative che l’idea del femminismo aveva portato al gruppo di Rivolta Femmninile. Il bisogno di esprimersi che queste donne sperimentano nei loro primi incontri è accolto, lo dice la Lonzi, come sinonimo stesso di liberazione. Liberarsi per la Lonzi, come per le altre donne appartenenti a Rivolta Femminile, non vuole dire accettare la stessa vita dell’uomo ma significa esprimere il proprio senso dell’esistenza. Il Manifesto di Rivolta Femminile diventa proprio il mezzo adatto attraverso cui questo gruppo di donne ha la possibilità portare sulla carta le proprie idee relative al loro ingresso nel femminismo. Ciò che in quest’occasione si cerca di porre in luce è la necessità di fornire voce e sostanza all’identità femminile individuando gli elementi di misconoscimento contro cui ci si ribellava. Carla Lonzi afferma infatti come la donna, ponendosi come soggetto, rifiuti il ruolo assoluto e autoritario che è svolto dall’uomo. Ogni valore costituito dalla società è stato sfruttato a discapito della donna la quale non ha la libertà di decidere ma viene inglobata dentro i vincoli sociali. Il matrimonio come anche la regolamentazione della vita sessuale sono necessità del potere che non lascia libertà di decisione. Questa situazione di imparità era anche appoggiata, agli occhi della Lonzi, dalle teorie metafisiche elaborate dai grandi sistematici del pensiero. Essi avevano mantenuto il principio della donna come essere aggiuntivo legato alla sfera privata. Secondo quest’ultima, infatti, discipline tanto diverse quali la psicoanalisi, il cattolicesimo e il marxismo, hanno un punto ideologico in comune: la considerazione della donna come un essere sussidiario e complementare. Ciò, però, risulta motivato dal fatto che queste dottrine erano nate come forme di regolazione e di interpretazione dei rapporti tra uomo in quanto superiore e la donna in quanto inferiore. La presa di coscienza di una simile situazione porta la Lonzi a riflettere su ciò che era stato scritto dai grandi filosofi del passato confutando i principi patriarcali che reggevano i loro scritti. Sputiamo su Hegel è scritto da Carla Lonzi nell’estate del 1970. Qui lei stessa spiega come la donna è oppressa in quanto donna. Il fattore sessuale è l’elemento discriminante e non il livello sociale. Anche il marxismo quindi affidando la rivoluzione alla classe operaia aveva desunto una teoria rivoluzionaria dalla matrice della cultura patriarcale poiché aveva escluso la considerazione della donna come oppressa e come portatrice di futuro. Secondo Hegel la donna è il principio divino che presiede alla famiglia e che non oltrepassa lo stadio della soggettività. Per questo motivo la donna, riconoscendosi solo nella famiglia, non può raggiungere l’universalità per cui l’uomo diventa cittadino. La Lonzi nota come in Hegel l’essere donna non sia riconosciuto come una condizione umana poiché dipende da un principio divino il quale s’incarna quindi in un’essenza immutabile. Dando alla differenza sessuale della sostanza spirituale Hegel non riconosce l’origine umana dell’oppressione della donna. L’inferiorità della donna non fa parte della storia umana ma è una condizione immutabile. Secondo la Lonzi la cancellazione dell’inferiorizzazione della donna dalla storia aveva permesso a Hegel di vertere la sua teoria politica sulla dialettica tra superiore e inferiore dove il primo è il padrone e il secondo è il servo. La condizione della donna, essendo contemplata come principio divino, non è considerata in questa dinamica sociale. Secondo la Lonzi ciò derivava dal fatto che se Hegel avesse dovuto applicare al rapporto donna-uomo la dialettica servo-padrone avrebbe incontrato un ostacolo non indifferente poiché sul piano donna-uomo non esiste una soluzione che elimina l’altro per cui è vanificato il traguardo della presa di potere che distingue invece la logica servo-padrone. La donna è sottomessa all’autorità patriarcale e l’unico valore che le viene riconosciuto è quello di essersi adeguata come se questa fosse la propria natura. L’unica cosa che la donna contrappone alle costruzioni dell’uomo è la sua dimensione esistenziale per cui non possiede nessuna mitizzazione dei fatti che ha compiuto. La rivoluzione simbolica che la donna opera mettendosi in posizione di soggetto è considerata un cominciare da capo anche da Carla Lonzi che così si esprime in Sputiamo su Hegel: “Il destino imprevisto del mondo sta nel ricominciare il cammino per percorrerlo con la donna come soggetto”. Con il rivoluzionamento, nei testi di Rivolta femminile si dice anche chiaramente il suo risultato logico che è il concetto di differenza sessuale. La differenza tra donna e uomo viene infatti presentata come qualcosa da cui non si può prescindere. Non c’è libertà né pensiero per la donna senza pensiero della differenza. Il Manifesto si apre con questa idea: “La donna non va definita in rapporto all’uomo. Su questa coscienza si fondano tanto la nostra lotta quanto la nostra libertà. L’uomo non è il modello a cui adeguare il processo della scoperta di sé da parte della donna. La donna è l’altro rispetto all’uomo. L’uomo è l’altro rispetto alla donna.” Viene perciò duramente respinto il programma di uguaglianza tra i sessi con cui si pretenderebbe di assicurare alle donne piena dignità umana. In Sputiamo su Hegel si sostiene che lo stato sociale assegnato al sesso femminile sia tale che “un uomo preferirebbe non essere mai nato se dovesse considerarlo per se stesso”. Le donne lo hanno sopportato, lo sopportano aiutandosi per una parte, una parte difficilmente misurabile, con l’aiuto delle fantasie. E’ difficile sapere al momento quanta parte di fantasie ci aiuta a sostenere la nostra differenza trovandoci esposte alle esibizioni del sesso maschile. Di solito si viene a saperlo quando è troppo tardi, quando cioè viene meno la forza di fantasticare. Allora la mente femminile si arrende e cade in quello stato che gli psicologi chiamano depressione.

Carla Lonzi chiamò autocoscienza la pratica secondo la quale le donne parlavano della propria esperienza esponendosi alle altre. Era una via per sottrarre la coscienza di sé alle interpretazioni che ne dava la cultura maschile. Con questa pratica la propria soggettività femminile trovava modo di emergere nel confronto con altre donne. La confutazione delle teorie basilari del patriarcato continua anche con l’uscita nell’estate del 1971 dell’ultimo scritto della Lonzi: La donna clitoridea e la donna vaginale. In questo testo la Lonzi attaccava le teorie freudiane legate alla sessualità femminile individuando in esse gli stessi elementi repressivi presenti nella dialettica servo-padrone elaborata dal marxismo. Entrambi gli ambiti miravano ad un’utopia patriarcale dove la donna è programmata come un essere represso ed assoggettato. Secondo la Lonzi, nel caso di Freud, l’uomo costringendo la donna ad un tipo di rapporto vaginale la priva della sua autonoma sessualità che corrisponde invece alla clitoride. Il modello di donna vaginale, in luogo di clitoridea, imposto dalla società patriarcale alla donna impedisce a quest’ultima la manifestazione della propria sessualità e la porta ad acquisire la rinuncia e la sottomissione come caratteristiche del suo essere femminile. Carla Lonzi spiega ancora come, dal punto di vista patriarcale, la donna vaginale sia considerata come la manifestatrice di una giusta sessualità mentre la clitoridea rappresenta l’immatura, la mascolinizzata e addirittura, per la psicoanalisi di Freud, la frigida. Il femminismo ribalta invece queste teorie. La donna vaginale è vista come colei che è stata plasmata come consenziente del godimento dell’uomo, o patriarca, mentre la clitoridea, non accondiscendendo alla situazione d’integrazione che riguarda la donna passiva, si è espressa in una sessualità diversa che non coincide col coito. Per godere dell’orgasmo clitorideo la donna deve trovare un’autonomia psichica. Questa autonomia, di cui gode la donna che si è allontanata dalla dimensione di assoggettamento imposta alla donna vaginale, è assolutamente inconcepibile per la civiltà maschile tant’è che viene considerata come un rifiuto dell’uomo ed un presupposto per l’inclinazione al lesbismo. La Lonzi spiega invece come fosse importante affermare il proprio sesso e non solo soddisfarlo. Se la donna che prova l’orgasmo clitorideo non prende coscienza del fatto che sta esprimendo la propria sessualità resterà ugualmente succube dell’uomo. La mancata presa di coscienza porta infatti la donna a non distanziarsi dal modello sessuale dell’uomo e si adopererà per dimenticare il suo tradimento e la sua non idoneità la ruolo che le è imposto dalla società patriarcale. Attraverso questi testi la Lonzi mette in chiaro i punti che nella sua esperienza personale, come in quella delle altre donne di Rivolta, aveva individuato come fattori discriminanti nei confronti della donna. Il raggiungimento di una simile consapevolezza, e la successiva necessità di redigere per iscritto le sue osservazioni, era stato possibile grazie al confronto e al riconoscimento che aveva provato entrando in contatto con le donne di Rivolta Femminile e alla pratica dell’autocoscienza. Ogni testo della Lonzi è scritto infatti in autocoscienza in quanto lei stessa parte sempre dall’analisi e dalla verifica della propria esperienza.

 

Manifesto di rivolta femminile

Manifesto di Rivolta femminile

Nel luglio del 1970 sui muri di Roma appare il manifesto della rivista Rivolta femminile, basato su un testo elaborato da Carla Lonzi, Carla Accardi ed Elvira Banotti.

“Le donne saranno sempre divise le une dalle altre? Non formeranno mai un corpo unico?” (Olympe de Gouges, 1791).

• La donna non va definita in rapporto all’uomo.
• Su questa coscienza si fondano tanto la nostra lotta quanto la nostra libertà.
• L’uomo non è il modello a cui adeguare il processo della scoperta di sé da parte della donna.
• La donna è l’altro rispetto all’uomo. L’uomo è l’altro rispetto alla donna. L’uguaglianza è un
tentativo ideologico per asservire la donna a più alti livelli.
• Identificare la donna all’uomo significa annullare l’ultima via di liberazione. Liberarsi per la
donna non vuol dire accettare la stessa vita dell’uomo perché è invivibile, ma esprimere il suo
senso dell’esistenza.
• La donna come soggetto non rifiuta l’uomo come soggetto, ma lo rifiuta come ruolo assoluto.
• Nella vita sociale lo rifiuta come ruolo autoritario.
• Finora il mito della complementarietà è stato usato dall’uomo per giustificare il proprio potere.
• Le donne sono persuase fin dall’infanzia a non prendere decisioni e a dipendere da persona
“capace” e “responsabile”: il padre, il marito, il fratello…
• L’immagine femminile con cui l’uomo ha interpretato la donna è stata una sua invenzione.
• Verginità, castità, fedeltà, non sono virtù; ma vincoli per costruire e mantenere la famiglia.
• L’onore ne è la conseguente codificazione repressiva.
• Nel matrimonio la donna, privata del suo nome, perde la sua identità significando il passaggio
di proprietà che è avvenuto tra il padre di lei e il marito.
• Chi genera non ha la facoltà di attribuire ai figli il proprio nome: il diritto della donna è stato
ambito da altri di cui è diventato il privilegio.
• Ci costringono a rivendicare l’evidenza di un fatto naturale.
• Riconosciamo nel matrimonio l’istituzione che ha subordinato la donna al destino maschile.
• Siamo contro il matrimonio.
• Il divorzio è un innesto di matrimoni da cui l’istituzione esce rafforzata.
• La trasmissione della vita, il rispetto della vita, il senso della vita sono esperienza intensa della
donna e valori che lei rivendica.
• Il primo elemento di rancore della donna verso la società sta nell’essere costretta ad affrontare
la maternità come un aut-aut.
• Denunciamo lo snaturamento di una maternità pagata al prezzo dell’esclusione.
• La negazione della libertà d’aborto rientra nel veto globale che viene fatto all’autonomia della
donna.
• Non vogliamo pensare alla maternità tutta la vita e continuare a essere inconsci strumenti del
potere patriarcale.
• La donna è stufa di allevare un figlio che le diventerà un cattivo amante.
• In una libertà che si sente di affrontare, la donna libera anche il figlio e il figlio è l’umanità.
• In tutte le forme di convivenza, alimentare, pulire, accudire e ogni momento del vivere
quotidiano devono essere gesti reciproci.
• Per educazione e per mimesi l’uomo e la donna sono già nei ruoli nella primissima infanzia.
• Riconosciamo il carattere mistificatorio di tutte le ideologie, perché attraverso le forme
ragionate di potere (teologico, morale, filosofico, politico), hanno costretto l’umanità a una
condizione inautentica, oppressa e consenziente.
• Dietro ogni ideologia noi intravediamo la gerarchia dei sessi. Non vogliamo d’ora in poi tra noi e
il mondo nessuno schermo.
• Il femminismo è stato il primo momento politico di critica storica alla famiglia e alla società.
• Unifichiamo le situazioni e gli episodi dell’esperienza storica femminista: in essa la donna si è
manifestata interrompendo per la prima volta il monologo della civiltà patriarcale.
• Noi identifichiamo nel lavoro domestico non retribuito la prestazione che permette al
capitalismo, privato e di stato, di sussistere.
• Permetteremo quello che di continuo si ripete al termine di ogni rivoluzione popolare quando
la donna, che ha combattuto insieme con gli altri, si trova messa da parte con tutti i suoi
problemi?
• Detestiamo i meccanismi della competitività e il ricatto che viene esercitato nel mondo dalla
egemonia dell’efficienza.
• Noi vogliamo mettere la nostra capacità lavorativa a disposizione di una società che ne sia
immunizzata.
• La guerra è stata da sempre l’attività specifica del maschio e il suo modello di comportamento
virile.
• La parità di retribuzione è un nostro diritto, ma la nostra oppressione è un’altra cosa.
• Ci basta la parità salariale quando abbiamo già sulle spalle ore di lavoro domestico?
• Riesaminiamo gli apporti creativi della donna alla comunità e sfatiamo il mito della sua
laboriosità sussidiaria.
• Dare alto valore ai momenti “improduttivi” è un’estensione di vita proposta dalla donna.
• Chi ha il potere afferma: “Fa parte dell’erotismo amare un essere inferiore”. Mantenere lo
status quo è dunque un suo atto di amore.
• Accogliamo la libera sessualità in tutte le sue forme, perché abbiamo smesso di considerare la
frigidità un’alternativa onorevole.
• Continuare a regolamentare la vita fra i sessi è una necessità del potere; l’unica scelta
soddisfacente è un rapporto libero.
• Sono un diritto dei bambini e degli adolescenti la curiosità e i giochi sessuali.
• Abbiamo guardato per 4.000 anni: adesso abbiamo visto!
• Alle nostre spalle sta l’apoteosi della millenaria supremazia maschile.
• Le religioni istituzionalizzate ne sono state il più fermo piedistallo.
• E il concetto di “genio” ne ha costituito l’irraggiungibile gradino.
• La donna ha avuto l’esperienza di vedere ogni giorno distrutto quello che faceva.
• Consideriamo incompleta una storia che si è costituita sulle tracce non deperibili.
• Nulla o male è stato tramandato della presenza della donna: sta a noi riscoprirla per sapere la
verità.
• La civiltà ci ha definite inferiori, la Chiesa ci ha chiamate sesso, la psicanalisi ci ha tradite, il
marxismo ci ha vendute alla rivoluzione ipotetica. Chiediamo referenze di millenni di pensiero
filosofico che ha teorizzato l’inferiorità della donna.
• Della grande umiliazione che il mondo patriarcale ci ha imposto noi consideriamo responsabili i
sistematici del pensiero: essi hanno mantenuto il principio della donna come essere aggiuntivo
per la riproduzione della umanità, legame con la divinità o soglia del mondo animale; sfera
privata e pietas.
• Hanno giustificato nella metafisica ciò che era ingiusto e atroce nella vita della donna.
• Sputiamo su Hegel.
• La dialettica servo-padrone è una regolazione di conti tra collettivi di uomini: essa non prevede
la liberazione della donna, il grande oppresso della civiltà patriarcale.
• La lotta di classe, come teoria rivoluzionaria sviluppata dalla dialettica servo-padrone,
ugualmente esclude la donna.
• Noi rimettiamo in discussione il socialismo e la dittatura del proletariato. Non riconoscendosi
nella cultura maschile, la donna le toglie l’illusione dell’universalità.
• L’uomo ha sempre parlato a nome del genere umano, ma metà della popolazione terrestre lo
accusa ora di aver sublimato una mutilazione.
• La forza dell’uomo è nel suo identificarsi con la cultura, la nostra nel rifiutarla.
• Dopo questo atto di coscienza l’uomo sarà distinto dalla donna e dovrà ascoltare da lei tutto
quello che la concerne.
• Non salterà il mondo se l’uomo non avrà più l’equilibrio psicologico basato sulla nostra
sottomissione.
• Nella cocente realtà di un universo che non ha mai svelato i suoi segreti, noi togliamo molto del
credito dato agli accanimenti della cultura.
• Vogliamo essere all’altezza di un universo senza risposte.
• Noi cerchiamo l’autenticità del gesto di rivolta e non la sacrificheremo né all’organizzazione né
al proselitismo.
Comunichiamo solo con donne.
Roma, luglio 1970