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Danilo Dolci (Sesana, 28 giugno 1924 – Trappeto, 30 dicembre 1997)

“Ciascuno cresce solo se sognato

C’è chi insegna
guidando gli altri come cavalli
passo per passo:
forse c’è chi si sente soddisfatto
così guidato.

C’è chi insegna lodando
quanto trova di buono e divertendo:
c’è pure chi si sente soddisfatto
essendo incoraggiato.

C’è pure chi educa, senza nascondere
l’assurdo ch’è nel mondo, aperto ad ogni
sviluppo ma cercando
d’essere franco all’altro come a sé,
sognando gli altri come ora non sono:
ciascuno cresce solo se sognato.”

 

Nato a Sesana (Trieste) il 28 giugno 1924 da Enrico, impiegato nelle Ferrovie dello Stato e da Meli Kontely, di origine slava. Studia in Lombardia diplomandosi presso il Liceo Artistico di Breva ed iscrivendosi successivamente alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano.
Nel 1943 è arrestato, a Genova, dai nazifascisti e imprigionato riesce a fuggire. Si rifugia nelle montagne abruzzesi per raggiungere da lì, successivamente, Roma.  Conosce don Zeno Saltini e condivide con lui per qualche tempo l’esperienza di Nomadelfia, una comunità di accoglienza ai bambini privi di genitori, nata a Fossoli nell’ex campo di concentramento nazista non lontano da Capri, in Emilia.
Il padre era stato capostazione a Trappeto, il paesino in Sicilia, in provincia di Palermo. Nel ’52 Danilo decide di tornare proprio lì, per le immagini di estrema miseria del paese che gli erano rimaste fin da bambino. In quel paesino comincia a tentare percorsi per creare occasioni di lavoro e superare lo stato di disoccupazione della zona.

Sposa Vincenzina, una vedova povera con cinque figli, e da lei ne avrà altrettanti (tra cui Cielo, che diventerà più tardi uno dei più noti suonatori italiani di flauto dolce, Libera, poi insegnante di scuola materna e Amico).

Nell’area dei comuni che si affacciano sul Golfo di Castellamare, vicino a Palermo, nel corso degli anni ’50 e ’60, svolge un’attiva opera di intervento sociale per il riscatto delle società locali dalle condizioni di miseria e l’avvio di un’esperienza di sviluppo endogeno orientata verso forme di auto-organizzazione. I principi che informano la sua azione sono sostanzialmente quello della nonviolenza attiva – digiuni, scioperi alla rovescia, “pressioni” sociali etc. – e quello educativo, teso a innalzare il tenore di vita della comunità e a favorire lo sviluppo della cooperazione e di azioni solidaristiche, attraverso la ricerca di un dialogo costante con la società locale.

Nel 1952, quando fonda il Borgo di Dio (comunità e centro studi , il banditismo era al tracollo, ma i tassi di violenza che si registravano nel territorio da lui prescelto per la sua azione, erano tra i più elevati d’Italia. Un bracciante o un pescatore guadagnavano 400 lire per una giornata di dodici ore di lavoro, quando si riusciva a trovarlo. Nel quartiere Spine Sante a Partinico, su 330 famiglie 319 non avevano acqua in casa, i due terzi delle case non avevano fognature, il tasso delle malattie mentali era elevato. Se nel quartiere della Via Madonna il banditismo era apparso come il rimedio naturale alla impossibilità di trovare delle vie legali alla sicurezza sociale della popolazione, a Spine Sante non si registrava neanche questo atteggiamento ribellistico. Qui regnavano le malattie endemiche e la follia. Emblematica di questa condizione di diffusa miseria è la sua prima inchiesta sociologica nella zona di Palermo, ripresa poi in Fare presto (e bene) perché si muore (La Nuova Italia, Firenze 1954).

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I suoi metodi di lotta nonviolenta, contrassegnati da approdi concreti, diventano ben presto famosi: il 14 ottobre 1952 Danilo inizia il suo primo digiuno sul letto di un bambino morto per fame; nel novembre 1955 un secondo digiuno a Spinesante (Partinico), mira a sollevare il problema della diga sul fiume Jato. Nel corso delle sue ricerche Danilo aveva scoperto che, per migliorare la situazione agricola ed economica della zona, era stato fatto un progetto che, da molti anni, giaceva sepolto in qualche ufficio ministeriale: una diga sul fiume Jato. Essa avrebbe permesso di creare un bacino per irrigare i campi delle zone vicine, risolvendo così uno dei più gravi problemi della zona, dato che, a periodi brevi di forti piogge, che slavavano il terreno, succedevano periodi lunghissimi di siccità che rendevano, a propria volta, i terreni quasi improduttivi. Ma la mafia si era coalizzata contro il progetto, perché temeva potesse rivoluzionare l’assetto politico-economico della zona, e l’aveva fatto affossare. Solo col digiuno del 1962, che sarà seguito da una grande manifestazione popolare, riuscirà a scuotere le autorità che faranno riemergere il progetto dal fondo dei cassetti e autorizzeranno l’inizio dei lavori, alla cui realizzazione Danilo collabora, con i fondi del premio per la pace e di tanti comitati di amici nati in Italia e all’estero, organizzando, in varie zone, servizi di assistenza agricola che dovevano aiutare i contadini a passare da una agricoltura senza acqua ad una che sfruttasse i benefici dell’acqua incanalata. E’ in questa occasione che Danilo ed i suoi collaboratori, hanno a che fare con la mafia, e Danilo riceve anche qualche minaccia.

In cella, conosce dei banditi che avevano fatto parte della banda di Giuliano. Da quell’esperienza, ha origine un altro libro: Banditi a Partinico (1955).

Nel ‘55 pubblica su Nuovi Argomenti, la rivista diretta da Moravia e Carocci, dei racconti autobiografici di ragazzi che vivevano negli ambienti degradati di Palermo, il lavoro preliminare di Inchiesta a Palermo. Dolci subisce dal Ministero degli Interni, presieduto da Tambroni, il ritiro del passaporto, con l’assurda motivazione di avere con le sue opere diffamato l’Italia all’estero, e un processo a porte chiuse, più che mai immotivato, per pornografia. Troviamo a difenderlo Carlo Arturo Jemolo, lo storico della Chiesa, e accanto a lui avvocati di grido, intellettuali, comuni cittadini. Per il libro Inchiesta a Palermo Dolci otterrà nel ‘58 il premio Viareggio e lo stesso anno il Premio Lenin per la pace, i proventi del quale verranno utilizzati nella fondazione del Centro Studi e Iniziative a Partinico.

Il 30 gennaio del 1956 si colloca il “digiuno dei mille” sulla spiaggia di San Cataldo (Trappeto), seguito il 2 febbraio dello stesso anno dallo sciopero alla rovescia a Partinico, nel corso del quale Danilo stesso e qualche centinaio di contadini della zona, avevano occupato una vecchia “trazzera” (strada vicinale tra i campi) e avevano cominciato ad aggiustarla, per mettere in evidenza il fatto che i lavori da eseguire da parte della collettività erano tanti e che i contadini avevano il diritto a lavorare, diritto riconosciuto loro anche dalla Costituzione Italiana, all’art. 4. Molti di loro, per sottolineare il carattere di protesta nonviolenta, avevano fatto anche un digiuno. La loro richiesta era che lo Stato non si proponesse in Sicilia solo in funzione di poliziotto, ma piuttosto, col volto di assistente sociale e di aiuto allo sviluppo. Fu “caricato” dalla polizia, denunciato come individuo con spiccate capacità a delinquere, messo in galera all’Ucciardone per due mesi con i sindacalisti che lo avevano appoggiato (Salvatore Termini, Ignazio Speciale e tanti altri), processato e condannato. Il processo che verrà intentato contro Danilo e i contadini, per occupazione abusiva di suolo pubblico, servirà a far conoscere al mondo il suo lavoro. Ne esce un vero e proprio “Caso Dolci” che vede numerosi intellettuali italiani e stranieri (Silone, Parri, Pratolini,Carlo Ho, Sereni, Moravia, Fellini, Cagli, Mauriac, Sartre) schierati in comitati di solidarietà e mozioni di protesta: si registrano inoltre le interrogazioni alla Camera di Li Causi, De Martino, La Malfa.  Sono solidali con lui i suoi stessi avvocati (Carandini, Piero Calamandrei, Fausto Tarsitano ecc.) e altri studiosi di vari settori, come gli economisti Sylos Labini e Gunnar Myrdal, oppure il filosofo-pedagogista Aldo Capitini che gli sarà maestro ed amico.
Tutto l’iter processuale consumato dal 24 al 30 marzo a Palermo (vi intervengono, tra gli altri, in qualità di testimoni a difesa Carlo Levi, Elio Vittorini, Lucio Lombardo Radice) confluisce in un altro libro di una certa notorietà, Processo all’articolo 4, pubblicato da Einaudi nel `56 (ripubblicato da Sellerio nel 2011).

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In seguito al “Congresso per la piena occupazione” (1957), cui partecipano Alfred Sauvy, Bruno Zevi, Giorgio Napolitano, Paolo Sylos Labini, si verifica l’altro significativo, drammatico digiuno di Danilo e Franco Alasia a Cortile Cascino (é da ricordare in questa occasione la visita del celebre giornalista e scrittore Robert Jungk), per denunciare lo stato di miseria (da lui illustrato anche in Inchiesta a Palermo) in cui gli abitanti erano costretti a vivere, e per chiedere una politica della casa più coraggiosa. In seguito a questo digiuno ed al lavoro fatto in uno dei cortili più famigerati, il Cortile Cascino, questo verrà risanato.

Il piano di interventi trova intanto nel 1958 il punto di coagulo progettuale e operativo nella fondazione a Partinico del “Centro Studi e Iniziative”. Il Centro è frequentato da molti suoi amici: Elio Vittorini, Lucio Lombardo Radice, Ernesto Treccani, Antonio Uccello, Eric Fromm, Johan Galtung, Emma Castelnuovo, Clotilde Pontecorvo, Paolo Freire, e tanti altri. L’esperienza del Centro è sicuramente una tra quelle più rilevanti di sviluppo di comunità (insieme alle esperienze attivate dal Movimento di Comunità, promosso da Adriano Olivetti) sviluppatesi in Italia nell’immediato dopoguerra. Alla costruzione del progetto comunitario e di pianificazione organica fondata sulla partecipazione e promozione sociale, collaborano attivamente esponenti di diverse discipline (urbanisti-architetti, sociologi, agronomi, economisti etc.), tra i quali Ludovico Quaroni, Carlo Doglio, Bruno Zevi, Edoardo Caracciolo, Giovanni Michelucci, Lamberto Borghi, Paolo Sylos Labini, Sergio Steve, Giorgio Fuà, Giovanni Haussmann, Carlo Levi, Georges Friedmann, Alfred Sauvy.
All’interno di questa esperienza assume connotati peculiari sia il processo di pianificazione dal basso, che si fonda sul lavoro di gruppo e sull’interazione dialogica, sia la traduzione di obiettivi di sviluppo in concrete azioni, secondo una prospettiva pragmatistica ispirata al pensiero di Dewey.

Dopo le azioni di lotta per la diga sul Belice (digiuno a Roccamena del 29 ottobre 1963 e occupazione nonviolenta della piazza municipale), il 7 marzo dello stesso anno, Dolci dà vita alla sua espressa opera di denuncia delle connivenze politico-mafiose offrendo precisi documenti in un Convegno di Studi organizzato a Roma al Circolo della Stampa da alcune riviste (“Nuovi argomenti”, L’Espresso. Astrolabio. Il Ponte. Cronache Meridionali).

Ciò provoca le dimissioni di Messeri da sottosegretario al Commercio Estero e l’esclusione di Bernardo Mattarella dal terzo gabinetto Moro: in cambio il tribunale di Roma condanna lo scrittore per diffamazione a due anni di prigione su denuncia di Mattarella, dell’onorevole Calogero Volpe e di numerosi notabili siciliani indicati nella conferenza stampa come aventi rapporti con la mafia. Danilo digiuna ancora il 10 gennaio 1966 a Castellammare del Golfo. Qui vengono letti pubblicamente documenti antimafia, seguiti da discussione.

Sono poi del 1967 i duecento chilometri di marcia “per la Sicilia Occidentale e per un mondo nuovo”: la protesta antimafia davanti al Parlamento a Roma e alla sede della Commissione antimafia; la “Marcia per la Pace nel Vietnam” , oltre mille chilometri da Milano a Roma e da Napoli a Roma.

Nel ‘68 viene fondato a Trappeto il Centro di formazione per la Pianificazione Organica che si mobilita per prestare soccorsi nella zona terremotata dal Belice e progetta, inviandolo alle autorità, un piano di ricostruzione e sviluppo della zona disastrata. Il 26 marzo 1970, dopo un giorno solo di vita, viene distrutta e sequestrata la “Radio libera di Partinico”, fondata su iniziativa del Centro di Dolci per dar voce ai poveri cristi.

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Danilo, per conto del giornale di Palermo, L’Ora, viaggia anche in vari paesi d’Europa e nell’Est, studiando forme di programmazione e le relative problematiche scrivendo molti articoli su questo argomento. Gli articoli saranno pubblicati in volume (Verso un mondo nuovo), e – tradotti in varie lingue all’estero – faranno apprezzare Dolci in molti ambienti progressisti interessati alla pianificazione economica e urbanistica.

Negli anni più recenti, dal 1970, Dolci appare volto più a fondo sul versante dell’impegno educativo, che si esprimerà concretamente nel Centro sperimentale di Mirto, nato nel 1974. Danilo orienta la propria azione sulla costruzione di un sistema educativo ispirato ai principi dell’attivismo pedagogico, alternativo a quello tradizionale e in questa direzione prosegue la propria esperienza di “valorizzatore” sociale.

Nel ‘75 gli viene attribuito il premio Etna-Taormina per la poesia. Danilo svolge in questi anni un’intensa attività in seminari a cui partecipano esperti come Paulo Freire, Johan Galtung, Ernesto Treccani e altri, e lavora alla elaborazione di un progetto poetico che riunisce tutte le sue precedenti raccolte, col titolo emblematico di Creatura di creature progetto che sottopone ad un continuo lavoro di rifinitura formale, rinnovamento e integrazione concettuale.

Continuo é il contatto con il mondo dei giovani, che lo porta dalle università di Princeton, Standford, Berkeley, Columbia, Georgetown, Chicago, Hiroshima, Ahmedabad, New Delhy, alle scuole medie ed elementari del sud e nord Italia.

Ma sarà a causa del Centro di Mirto e della sua attività educativa che Danilo avrà i maggiori ‘grattacapi’. Gli insegnanti della scuola infatti, probabilmente non pagati regolarmente per la difficoltà di trovare fondi tra i sostenitori i quali, dopo il primo periodo di grande entusiasmo, vanno progressivamente diminuendo, si coalizzano e gli intentano causa. La stampa italiana da’ grande pubblicità a questo fatto, e Danilo, di cui ormai non si parla da molti anni, è presentato al pubblico italiano come sfruttatore e disonesto. Da allora, solo piccoli gruppi di insegnanti, particolarmente impegnati, interessati alla sua metodologia, a loro nota tramite i suoi libri (Dal trasmettere al comunicare, e Variazioni sul tema Comunicare), l’hanno chiamato a condurre seminari e incontri di formazione. A peggiorare la fama di Danilo, almeno per l’opinione pubblica italiana, è la separazione da  Vincenzina, la madre di cinque suoi figli, e la decisione di convivere con una giornalista svedese, da cui ha altri due figli, ma che, dopo qualche anno, lo lascia.

Nel 1981, viene proposto per il premio Nobel  per la pace.

Nell’88 lancia un’iniziativa per la costituzione di un Manifesto sulla comunicazione. Avverte i pericoli connessi alla “comunicazione di massa”, ossia al dilagare della televisione e degli altri mass-media che non generano più un vero contesto comunicativo, ma soltanto trasmissivo, unilaterale. E’ molto preoccupato dall’unilateralità del nuovo modo di comunicare, che influenza i destini relazionali, impedendo un rapporto diretto e immediato; ma più che altro ne faceva una questione di potere: chi controlla la comunicazione globale acquista un potere enorme, che va messo in discussione e controllato. Al manifesto sulla comunicazione prendono parte i suoi amici di tutto il mondo, grandi personaggi della cultura internazionale tra i quali Galtung, Chomski, Freire, scienziati come Rubbia, Levi Montalcini, Cavalli Sforza, protagonisti della cultura della solidarietà come don Ciotti e monsignor Bello in Italia e Ernesto Cardenal in Sudamerica.

Nel ‘91 contribuisce alla fondazione della Associazione per l’identificazione e lo sviluppo nonviolento della Calabria.

La salute di Danilo comincia quindi a peggiorare, per problemi di diabete, e infine un arresto cardiaco ne provoca la morte il 30 dicembre del 1997, a 73 anni.